mercoledì 14 ottobre 2015

[Breve racconto] Quando la realtà supera l'incubo.

Inspiro. Espiro tremando. Non può essere vero.

Riapro gli occhi e con un macigno nel petto constato dolorosamente che nulla è cambiato: sono circondato.

Attorno a me armate di zombi muniti di smartphone rendono nota la loro condizione di semi-vita unicamente tramite qualche sporadico lamento ansimante o un flebile movimento del dito sugli schermi emananti quel tenue bagliore che a me tanto ricorda l'illuminazione delle cripte romane.

Uno di questi esseri immondi mi urta, grugnisce neanche degnandomi di uno sguardo, ritorna nella sua posizione originaria, abbracciato ad una sbarra di ferro.

Mi guardo attorno.
Ho la vista annebbiata, ma riesco a distinguere la semovente massa di esseri che, penzolanti come brandelli di carne ancora appesi a una carcassa, emana l'immane fetore che pervade l'aria, rendendola pressocchè irrespirabile.

Trattengo il respiro e la posizione in piedi, quasi sulle punte, nel tentativo di evitare ogni contatto fisico con le creature.

Oso spostare lo sguardo a destra e noto un ricettacolo di grasso dalle sembianze lontanamente umanoidi che dirige il suo sguardo psicopatico allo schermetto, in un ghigno a dir poco inquietante.
Un improvviso muggito scaturisce da quella che dovrebbe esser la bocca.

Spalanco gli occhi e mi metto sulla difensiva, intendendo in esso una risata, totalmente disumana.

BU-BLUC-DLIN!

Il muggito rinizia, più sguaiato di prima. Occazzoccazzoccazzo.

Oscilla l'anello che buca la cartilagine nasale, oscillano gli unti filamenti corvini che fuoriescono dal suo cranio, oscilla la massa di grasso avvolta dagli stracci neri troppo stretti che le cingono le oscenità.

Tento di non abbandonare la ragione e darmela a gambe levate urlando per fuggire da quell'inferno.

Analizzo il coso, l'affare. Pare essere una femmina, sulla ventina. Un paio di scarpe numero 46 fanno da base per caviglie e polpacci bovini ed immani. Sta ancora vibrando per la risata dovuta di certo a qualche gag ridicola trovata su facebook, ove l'idiozia è fertile quanto il limo delle sponde del Nilo. Mi geme pure il midollo.


Come ipnotizzato dalla quasi mitologica creatura, mezza donna e mezza tonnellata, seguo la traiettoria delle dita rigonfie e impacciate della budega che terminano per infilarsi nei collant neri sul didietro, ove arditi esploratori son di sicuro periti, le forze della fisica newtoniana non sono valide e valli pestilenziali ricolme dei più inimmaginabili orrori regnano sovrane.

Non...non ce la faccio, devo guardare altrove.

Fuoriesco a fatica dalla letale e malata visione. Ancora pochi secondi e sarei stato ridotto a uno spastico fantasma di me stesso.

Prendo respiro rapidamente, immagazzinando l'aria necessaria per resistere ad un'altro giro di apnea.

Passo in rassegna i non-morti che ho più vicino.

Subito alla mia destra un energumeno alto e secco si ciondola con una bava verdastra che gli penzola dalla bocca, lo sguardo vacuo e assente.

Alla mia sinistra, oltre la matta lardosa, una signora di una certa età si regge salda a un'altra sbarra di freddo metallo: l'orbita oculare destra è vuota come la sua anima, gli occhi spenti come quelli di un cadavere.

Un lampo gelido li passa mentre la fisso. Scricchiolante, il corpo rotea di qualche grado in mia direzione.

Una mano scheletrica fuoriesce dalla vestaglia grigio topo, opaca come si sta riducendo la mia vista, ora ottenebrata da lacrime di puro terrore.


Inconsciamente arretro di un passo, cozzando contro l'alto immondo che ondeggia come le fronde di un albero malsano quanto malefico.
Un rivolo di bava putrescente cola fino a sporcarmi la spalla.

Apro la bocca per urlare, svuotare i polmoni ricolmi del veleno del terrore e..



Mi sveglio, allungo la mano verso il cellulare: le 6:15. Bestemmio, mi rimbocco le coperte fino alle orecchie. Ho ancora un'ora di sonno.


Dopodichè, il mio incubo vero inizierà davvero sulla linea 36.

Zion





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